Amato da turisti e nostalgici il «sercio» è l’incubo della Capitale che lavora

Sampietrino © ph Valentina Cinelli

di MATTEO VINCENZONI
Il Tempo

AMATI e odiati. I «serci» di Roma fanno promettere al politico di turno, eccitare la turista con le infradito, fanno crescere al romano a Parigi l’orgoglio del «l’avemo inventati noi», fecero venire a un cinese furbo l’idea di copiarceli per poi rivenderceli, al black block fanno venir voglia di lanciarli se se li trova a portata di mano contro la polizia. Il Sampietrino ha indubbiamente il suo fascino. Se da un lato suscitano sentimenti medioevali, è pur vero, però, che la Capitale del 2000 e passa deve pensare al suo futuro, anche di città d’arte. In cima alla lista dei nemici dei sampietrini, colmo dei colmi, stanno proprio quegli stessi palazzi storici che li hanno visti dapprima nascere, poi svanire, seppur in pochi casi circoscritti, sotto colate di bitume con un sospiro di sollievo. È sì, perché i sampietrini fanno tremare le antiche fondamenta e i muri spessi con tutti i loro tesori, affreschi in primis, parola del sovrintendente per i Beni architettonici di Roma Galletti, che nel 2005 riuscì quasi a convincere il sindaco Veltroni a dichiarare guerra a sua maestà il «sercio». Quasi, perché in piazza Venezia i sampietrini ci sono ancora e nessuno l’ha mai sistemati. Ma la sfilza dei contro è lunga. Per galanteria iniziamo dalle donne. Quelle che portano i tacchi a spillo li detestano. A volte sono costrette a lasciare lì lo spillo e prendere il primo taxi al volo per tornare a casa a cambiar le scarpe. E sul taxi trovano subito man forte. L’odio per il «sercio» cresce con i racconti del tassinaro. Anche lui lo disprezza, soprattutto quando il meccanico presenta il conto della revisione: «Sospensioni posteriori nuove.., cerchio anteriore destro rigenerato fanno…». L’omino in tuta non fa in tempo neanche a dire il prezzo. La mascella del tassista è già contratta modello bull-dog. La mente dell’autista sta pensando a come colpire con un sampietrino quel politico che aveva promesso asfalto. I motociclisti, più a rischio dei tassisti, devono invece fare i conti con la fattura dell’ortopedico. Per loro, convivere tutti i giorni con il «sercio» è più dura. Rischioso, a volte mortale. Non tanto per i dissesti provocati dalla poco, o meglio nulla, manutenzione. Il problema maggiore è l’effetto scivolo. Si verifica quando le prime gocce di pioggia toccano i «serci» dopo qualche giorno di siccità. Quello è il momento più rischioso. L’acqua si mescola con il sottile strato di polvere che ricopre il sampietrino, scivoloso già di suo. La mescola killer trasforma il manto stradale in una lastra di ghiaccio. Ma tassisti e motociclisti hanno in comune anche un’altra cosa, il mal di schiena. Secondo un’indagine di Codacons e Adusbef del 2006, per risarcire annualmente i danni a macchine e persone provocati dai sampietrini, non basterebbero i soldi che il Comune incassa in multe nell’arco di un quadrimestre, milione di euro più, milione meno. Peccato che i tempi burocratici per un risarcimento siano così lunghi da far desistere anche il cittadino danneggiato più imbestialito. Ai danni dei sampietrini, poi, vanno chiaramente sommati quelli provocati dalle buche dell’asfalto che, sempre secondo un’indagine del 2006, su un totale di 5500 chilometri strade, sarebbero circa 458000, una ogni 12 metri. E la matematica non è un’opinione. Alla beffa per il cittadino bisogna poi aggiungere i danni alle casse del Comune. La manutenzione del «sercio» costa quattro volte quella dell’asfalto, per due motivi: il primo è che se nel ripostiglio del Campidoglio sono finiti bisogna farli venire da Hong Kong, secondo i «maltagliati» – il vero sampietrino è quasi del tutto sparito – hanno bisogno di costante monitoraggio del manto stradale, ed è evidente che ciò non avviene. A questo punto, facendo salvo il punto di vista di Veltroni, appare chiaro che il sampietrino ha diritto di sopravvivere solo nelle isole pedonali. Dove passano le macchine e le moto, vuoi per una questione di sicurezza che per una prettamente economica, andrebbe rimosso. A che serve il «sercio» a piazza Venezia, in via Nazionale, in via Luigi Petroselli, in via del teatro Marcello, in via dei Cerchi, in via dei Fori Imperiali, in via di Santa Croce in Gerusalemme, in piazzale Labicano e chi più ne ha più ne metta? Alcuni anni fa, in Tv, nel programma «Sex and the city», un’ospite donna disse: «Amo i sampietrini perché quando sono in motorino provo piacere sobbalzando sulla sella». Beata lei, verrebbe da dire. Ma i politici capitolini che vanno in auto blu, cosa cercano nel sampietrino? m.vincenzoni@iltempo.it